a Nina Moric



Appesa alla parete della mia
stanza di golden boy,
appari nuda; il tuo corpo ventoso,
le gambe di gazzella sui tacchi neri,
la pelle d’oro,
la bocca che trattiene la freschezza
della viola. La curva
della schiena che conduce
come uno scivolo
al più fondo piacere,
la muscolatura eroica del sedere,
rosato mandolino del peccato,
gli occhi di cerva infuocata sul prato.

Se ti guardo così segreta come sei
nella mia stanza
o con le gambe accavallate nelle
istupidite celle
televisive, penso che gli dei
non sono morti,
se Venere con te rinasce
dalle spume o da conchiglie marine.

Penso a quando il regista mi propose
di uscire con te di sera, al suo posto…
T’avrei conosciuta, avresti percorso
tutti i tornanti, i fiumi
del sogno. E avresti visto
quei tramonti di sangue,
le lune nere.

Ma saresti tornata
al tuo amore muscolare,
nella tranquillità
di una villa californiano-milanese,
accessoriata di tutte le inutilità
che la modernità richiede…

Per te avrei venduto i miei mille libri
e mille e mille altri libri, spegnendo
il sole del sapere,
spegnendo il doppio fuoco
della Storia e del Sogno.
E avrei mutato il mio conto bancario
in una lunga fila di smeraldi,
per darti mille e ancora mille baci,
correndo lungo la tua isola piena di boschi,
facendo amica la notte del tuo cuore,
la tigre dei tuoi mattini…

Oh Bellezza, se sei fiore, fiorisci…
Ma conficcati e brucia nella carne…

©2005 by Andrea Margiotta

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