La pietas di Ozpetek




Da tempo, pensavo che il turco-italiano Ferzan Ozpetek - che conobbi a Sorrento per una comune premiazione - fosse uno dei migliori registi presenti nel nostro paese. Dopo Le Fate ignoranti e La Finestra di fronte, mi aspettavo qualcosa di forte e “disturbante” come un vento che agiti le acque tranquille (e un po’ stagnanti) del cinema italiano. Ed ecco questo suo ultimo film Cuore sacro, già visto al cinema e rivisto su Sky… Resto subito colpito dal titolo con quell’accostamento tra una parola semplice e nobile, cuore, umanissima, vitale e un aggettivo dal peso storico-filosofico e religioso di sacro. Forse il regista turco pensava al significato biblico di cuore ovvero come il centro di sentimento e ragione, quello strumento di cui l’uomo è dotato per rapportarsi alla realtà nella ricerca di una verità come “adaequatio rei et intellectus”, secondo la definizione di S.Tommaso… Ad ogni modo, in una scena del film, si chiarisce che cosa s’intenda, quando uno dei personaggi spiega: - “La signora credeva che ciascuno di noi ha due cuori. Diceva sempre però che uno dei cuori eclissa l'altro... ma se ognuno di noi riuscisse, anche per un solo istante, a intravedere la luce del suo cuore nascosto... allora capirebbe che quello è un cuore sacro e non potrebbe più fare a meno del calore della sua luce...”. La signora a cui si fa riferimento è la madre morta della protagonista Irene (Barbora Bobulova), che nel film non compare mai neppure in foto ma solo come fantasma o confuso ricordo; evocata solo dagli spazi silenziosi della sua stanza dove aveva vissuto gli ultimi anni da reclusa e dalle misteriose frasi e segni da lei tracciati sui muri; che è il motore che fa ruotare la sottotrama più thriller e gotica del film, grazie anche alla cinefilia dello sceneggiatore-produttore Gianni Romoli. Il centro della storia è la trasformazione d’Irene, giovane imprenditrice immobiliare che, dopo un misterioso e breve incontro con un’inquietante bambina ladra (Camille Dugay Comencini), la cui morte improvvisa le risveglia qualcosa che pareva dormisse nelle profondità della sua anima, comincia un percorso della coscienza che la porterà ad una crisi e ad un cambiamento profondi (bella la citazione musicale di Maria di Buenos Aires, il tango splendido di Piazzolla). Irene userà la sua ricchezza materiale per aiutare i poveri e bisognosi scoprendo pian piano l’esigenza spirituale di donare tutta sé stessa sino ad arrivare ai confini di un’apparente follia d’amore e di carità che la portano a spogliarsi francescanamente di tutti i suoi vestiti alla Stazione della metropolitana, nel climax di una scena memorabile per intensità emotiva e resa cinematografica. Ho ancora negli occhi e nella mente lo sguardo della donna africana alla quale Irene dona i suoi gioielli; il regista restituisce lo stesso brivido che realmente provò una sera nel medesimo luogo. Ma ci sono altre scene intense nel film, come quella in cui Irene stringe un giovane reietto in una posa che allude chiaramente alla Pietà di Michelangelo e, soprattutto, quella che comincia con Irene in piscina e termina con lei abbracciata all'albero, la quale genera una corrente tensiva notevolissima e segna il cosidetto punto di non ritorno (Irene ha ormai deciso la sua strada...). La trasformazione di Irene, al fuoco della carità, sarà un motivo di scandalo per la sua partner nella conduzione dell’impresa di famiglia, la zia “cattiva” (Lisa Gastoni, bel ritorno al cinema dopo 25 anni…) che, nella sua morale fatta di cinismo e affarismo, tenta di ostacolare quelle "folli" donazioni di ricchezze accumulate nel tempo… Motivo di insofferenza anche per taluni spettatori, forse, e di sicuro per diversi critici che hanno stroncato ingiustamente il film: accuse di melodrammaticità, enfasi, barocchismo e altro (le stesse che poi si potrebbero fare all'unico film bello di Lars Von Trier, Le onde del destino)...Ormai pare che le lingue della carità e della pietà siano straniere in questo tempo; ma basterebbe seguire l'onda emotiva per notare come tutto converga al fuoco centrale della protagonista Bobulova, brava, tra l’altro, a sostenere la storia con una ieraticità e intensità sacrale esaltate dai primi piani; tutto attraverso gli occhi prima gelidi e vuoti, nel suo periodo da affarista, poi intensi e rapiti in un pieno d’amore e di follia… Nel film è bella questa commistione tra gli elementi del mistero (il fantasma o ricordo della madre morta e forse pazza, la bambina apparsa e scomparsa, le atmosfere avvolte di silenzio, il palazzotto pregno di inquietudini e memorie…) racchiusi come nel segreto di uno scrigno e gli elementi di una realtà nella sua bruta e fenomenica fattualità: nei volti dei poveri di una Roma notturna, nelle grotte o cunicoli dove s’affolla un’ umanità mendicante di tutto… Mistero e realtà: atmosfere gotiche e neorealismo rosselliniano (lampante la citazione di Europa ’51 - con la protagonista, la Bergman, che aveva lo stesso nome, Irene…) e pasoliniano (Girotti che si spoglia alla stazione in Teorema…). Con l’apporto di una fotografia che, con una cromia metallica e fredda, prima rimarca il periodo gelido e manageriale d’Irene e il suo deserto di emozioni e sentimenti e poi, diventando più calda e notturna, con chiaroscuri che richiamano Rembrandt e Caravaggio, contrappunta la sua follia d’amore e i corpi dei poveri. La sceneggiatura di Romoli e del regista è stata sapiente nel tenere il passo progressivo e lento delle conversioni e a scandire l’evoluzione inesorabile della protagonista; e attenzione al colpo di scena alla Lynch, alla fine del film, che getta un po’ di luce sul mistero senza spiegarlo (perché non si può spiegare il filo oscuro che lega i vivi ai morti)… Ozpetek ha realizzato un’opera intensa, intima e sincera; si è misurato con temi alti senza cascare nelle molte tagliole del caso…Ci sono alcuni difetti di script, in certi dialoghi troppo da romanzo d'appendice; difetti in certe figure poco convincenti (il custode troppo paterno, il prete troppo da fiction e poco altro)...Tuttavia, se ci si lascia contagiare dal fuoco della protagonista, si arriva alla fine con ardore, dolcezza e letizia. Metterei il film in un’ ideale famiglia di opere recenti che comprende La mala educación di Almodóvar e La Niña santa di Lucrecia Martel per la tematica religiosa e il noir esistenziale Storia di Maria e Julien di Jaques Rivette per l’atmosfera fantasmatica da thriller gotico… In un tempo in cui molti sembrano adorare il biblico vitello d’oro, Ozpetek ha proposto la storia ruvida di una lucida “follia” d’amore e di carità… Poco importa dire se sia un film laico, sincretistico o cristiano: è un’opera dove emerge il senso religioso dell’uomo, la sua pietas, il suo Cuore Sacro…



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