Un carnevale a Ivrea





So che non è il periodo giusto (ci avviciniamo al Natale) ma permettetemi un piccolo omaggio ai visitatori di Ivrea, gli eporediesi come si chiamano, che transitano in questo mio blog (è capitato di notarne una discreta presenza) .
Una poesia che mi ricorda una "stagione" felice della mia vita: dunque mi è particolarmente cara.
Forse non è tra le più riuscite o originali che ho scritto (ma solo perché si avverte particolarmente l’influenza del Montale più araldico) ed è molto diversa, stilisticamente, dalle cose che scrivo adesso e che spero di pubblicare presto in un secondo libro: ma resta una “signora” poesia, mi pare: e magari fossero capaci di scrivere testi così (o migliori) tanti scrittorucoli o poetastri che brigano per presenziare a questo o quel festival internazionale o italico, o che si fanno tradurre all’estero grazie alle proprie relazioni o conoscenze (mafietta): nulla di male, se non fossero delle capre! …


Mario Luzi mi diceva che ho una mentalità mitica e una certa capacità suggestiva ed evocativa: forse per questo le mie cose non dispiacciono al poeta ligure Giuseppe Conte che stimo ...
È un tempo di barbarie culturale e di barbari: spunta un regista cinematografico al minuto, “trionfa” l’eclettismo di chi, senza neppure essere lontanamente un artista, passi dal libro, al film, allo spettacolo teatrale, con mediocri risultati in tutto.
La democrazia sarà pure una forma avanzata di organizzazione e convivenza sociale, sarà anche un dogma ma porta inevitabilmente a false aspettative e aspirazioni, ed è un controsenso a cominciare dall’etimologia (demos+kratos, ma quando mai il popolo ha avuto il potere?) …
Funziona forse negli USA ma non troppo in un paese così culturalmente “familistico” e di clan o tribù come il nostro.
Non è ipocrita dirlo, se non altro per studiarne meglio certi meccanismi …
Lasciate l’eclettismo aristico a chi veramente possa farlo e a chi, soprattutto, sia veramente un artista senza magari volerlo, dunque suo malgrado, per natura, destino …
Rallegriamoci per artisti autentici come Antonio Stagnoli – i cui disegni sono ferite lancinanti – http://www.antoniostagnoli.it/opere.php o per qualche regista di cinema che ha qualcosa da esprimere e sa come, stilisticamente, farlo (penso ai Soldini, Ferrario, Sorrentino, Garrone, Saverio Costanzo) …
Ci sarebbero tante cose da dire, dai fatti stringenti della politica, a certi nodi etico-morali da sciogliere …
Se in tv non si fosse ossessionati dall’audience e dagli introiti della pubblicità, tanto da giocare spesso al ribasso facendo trionfare la volgarità da trivio (per fortuna con qualche bell’eccezione), una poesia come quella che vi presento, potrebbe essere letta in prima serata, se non dal poeta autore (cioè da me) magari da una bionda di bellezza mozzafiato (purché sappia leggere ;-)) …
Sarebbe un salto in avanti …
Ma la poesia in tv resta un’utopia (io realizzai un programma nel 2004 che fu trasmesso in 10 puntate intorno alle 3 di notte): nonostante quello che uno degli autori chiama “formattino” sulla poesia, introdotto recentemente dentro la trasmissione Domenica in (e me lo viene pure a dire, dimenticandosi che per mesi glielo avevo suggerito e ispirato) che ovviamente è un po’ una cosettina adattata al pubblico che di solito guarda quel programma (e questo è il male minore) …
Non pensiamoci, cediamo invece al nostro ottimismo …
E dunque vi lascio alla mia poesia – tratta dalla sezione Inverno del mio libro Diario tra due estati, L’Obliquo, Brescia, 2000 (Premio Città di Borgomanero 2001; segnalato al Premio Internazionale Eugenio Montale 2001); con un pensiero al Carnevale e al grande critico Bachtin che ne scrisse, e con un cordiale omaggio alla affascinante città di Ivrea e ai suoi abitanti …




UN CARNEVALE A IVREA

S’incrina l’esile lamina che in cucina
veste la poco nobile mobilia
all’urto delle mie scarpe corpose.
Rimesto al tavolo le carte lucide,
guardo i miei specchi, enumero le molte
pagine da sfogliare, quando il tempo
più s’assottiglia e una gelida luce
tra i capelli s’impiglia.
La caffettiera evoca i suoi spettri.

E un Carnevale, viluppo di fuochi
o d’istanti nati da mille mani,
ritorna coi tamburi che rullavano
i battitori nel palazzo antico,
quando ad un cenno il capo dei goliardi
schiuse i sigilli e ordinò quei balli
di maschere più tristi tra i festoni
e gli stemmi, gli arazzi e i gonfaloni
di picche e cuori e fiori biliottati.

Guizzavano già fuori i goliardi variegati
come pesci nella notte vinosa
e dalle logge
pendevano le fiaccole fumose,
dopo che bruciò verde
e arancio il vecchio scarlo
e tu fosti perduta nella folle
farandola di occhi o cupi specchi
dove quel gelo morse il tuo bel viso.

Per ritrovarti ancora nel mattino,
nella piazza purpurea d’arance
come un campo di sangue. E poi lo schianto
allo scocco della campana, il colpo
del lanciatore scelto sopra il carro
che frantumò il tuo orgoglio.
Non ti parò la rete nel tuo sbaglio
né il braccio o l’osso, ma non ci fu danno,
mentre la festa finiva e le grida
sparivano nel fiume. Ma non è più il tuo tempo.

Ma non è questo il tempo che rimescoli
il vetro e lo smeraldo e ricomponga
i fili e gli anni,
ora che un’altra donna a me ritorna
nella luce d’inverno
e dai pontili un’altra vita appare.
Si sfoglia la stella rossa di Natale
nella stanza lontana,
il pappagallo stride, il cane latra.

Andrea Margiotta by Diario tra due estati – L’Obliquo – Brescia – 2000.

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