Se una notte di fine estate incontri ancora Robert Bresson...
«Au hasard Balthazar» è un film di Robert Bresson, uscito nel 1966.
Già dalle prime sequenze, strazianti e prive di qualsiasi orpello melodrammatico, ti rendi conto che è un capolavoro e una vetta del cinema. Stile asciutto, concretezza, parole ridotte all'essenziale per il fluire di un racconto di immagini.
Una sorta di parabola, attraverso gli occhi di un asino testimone del male del mondo e della cattiveria umana. Il problema della Grazia di Dio, sempre molto sentito da questo autore (non so se più in termini cattolici o giansenisti), è sempre sullo sfondo.
Come sono sullo sfondo i due autori forse più cari a Bresson: Dostoevskij e Bernanos, ancor più presenti in altri suoi lavori.
Il rigore formale, l'ascetismo di Bresson hanno portato Paul Schrader (regista e sceneggiatore di Scorsese, in "Taxi Driver") a definire il suo «cinematografo» (come amava dire l'autore francese) realizzato attraverso uno stile trascendentale. Rimando a: P. Schrader, Transcendental style in film: Ozu, Bresson, Dreyer, Berkeley 1972. Uscito anche in italiano grazie a Donzelli.
Nel saggio, più o meno, Schrader vuole quasi dimostrare come tale «stile trascendentale» sia il più adatto, nel cinema, a esprimere un senso della sacralità, forse perduto.
Sarebbe interessante anche il confronto con Pasolini, meno asciutto ed essenziale di Bresson, ma pur sempre dotato di uno sguardo sulle cose e sulla realtà, con una memoria del sacro.
Il senso del sacro non è mai perduto, neppure oggi: solo, cova come la cenere di un grande fuoco... Più che perduto, l'abbiamo forse dimenticato...
Certo è che guardando «Au hasard Balthazar» avverti cosa può essere il cinema, nella sua forza espressiva; di contro a tante opere, anche quelle più lodate, che raccontano solo delle storie per intrattenere, più o meno bene, il pubblico; o, nei casi peggiori, fanno della sociologia o un «niente d'autore»...
Già dalle prime sequenze, strazianti e prive di qualsiasi orpello melodrammatico, ti rendi conto che è un capolavoro e una vetta del cinema. Stile asciutto, concretezza, parole ridotte all'essenziale per il fluire di un racconto di immagini.
Una sorta di parabola, attraverso gli occhi di un asino testimone del male del mondo e della cattiveria umana. Il problema della Grazia di Dio, sempre molto sentito da questo autore (non so se più in termini cattolici o giansenisti), è sempre sullo sfondo.
Come sono sullo sfondo i due autori forse più cari a Bresson: Dostoevskij e Bernanos, ancor più presenti in altri suoi lavori.
Il rigore formale, l'ascetismo di Bresson hanno portato Paul Schrader (regista e sceneggiatore di Scorsese, in "Taxi Driver") a definire il suo «cinematografo» (come amava dire l'autore francese) realizzato attraverso uno stile trascendentale. Rimando a: P. Schrader, Transcendental style in film: Ozu, Bresson, Dreyer, Berkeley 1972. Uscito anche in italiano grazie a Donzelli.
Nel saggio, più o meno, Schrader vuole quasi dimostrare come tale «stile trascendentale» sia il più adatto, nel cinema, a esprimere un senso della sacralità, forse perduto.
Sarebbe interessante anche il confronto con Pasolini, meno asciutto ed essenziale di Bresson, ma pur sempre dotato di uno sguardo sulle cose e sulla realtà, con una memoria del sacro.
Il senso del sacro non è mai perduto, neppure oggi: solo, cova come la cenere di un grande fuoco... Più che perduto, l'abbiamo forse dimenticato...
Certo è che guardando «Au hasard Balthazar» avverti cosa può essere il cinema, nella sua forza espressiva; di contro a tante opere, anche quelle più lodate, che raccontano solo delle storie per intrattenere, più o meno bene, il pubblico; o, nei casi peggiori, fanno della sociologia o un «niente d'autore»...
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