Un ragionamento intorno al concetto di lirica in Hegel


Hegel diceva, a proposito della lirica:
«Il suo contenuto è il soggettivo, il mondo interno, l’animo che riflette, che sente e che, invece di procedere ad azioni, si arresta al contrario presso di sé come interiorità e può quindi prendere come unica forma e meta ultima l’esprimersi del soggetto».
In un mio post su Facebook, avevo detto di non essere hegeliano, per due motivi principali: 1) perché non credo nell'identità tra pensiero e realtà; 2) perché non credo a una conciliazione dialettica tra storia ed eternità. Per questo sono attratto più da altri filosofi, che non è il caso di nominare.
La maggior parte dei marxisti (escludendo forse Gramsci che, filosoficamente, era neoidealista esattamente come Gentile e Croce) cercarono di staccare la «radice» Hegel da Marx, perché consideravano il primo «reazionario» e «borghese».
Tuttavia, mettere in soffitta Hegel significherebbe tagliare le radici filosofiche di Marx e indebolire anche la sua idea di prassi. Infatti, questo era il «difetto nel manico» sia in Sartre che in Louis Althusser (il secondo, finito molto male). Dunque: se fai fuori Hegel, fai fuori anche un marxista come Sanguineti (il quale, tra l'altro, aveva dei residui crepuscolari, sebbene inseriti in un contesto del tutto diverso rispetto al Corazzini e compagni).
Del resto, è sempre indice di debolezza teorica instaurare un nuovo Sistema contraddicendo specularmente un altro Sistema.
Detto questo, appoggiandomi agli scritti saggistici di un Maestro che ho frequentato personalmente, cioè Mario Luzi, ( cfr. «L'idea simbolista») penso che la «parabola hegeliana» in poesia, dal Romanticismo, si concluda con lo «splendido fallimento» di un simbolista quale Mallarmé che rappresenta il «canto del cigno» dell'idealismo tradotto in poesia (benché il francese avesse completamente celato l'«Io», costruendo, tuttavia, un suo mondo, o sistema, poetico ideale, al di sopra della realtà fenomenica). Ai tempi universitari, lessi capillarmente un classico della critica, quale «La struttura della lirica moderna» di Hugo Friedrich (compreso il saggio introduttivo e, non so perché, «correttivo» di Alfonso Berardinelli): un hegeliano che eleggeva a suo campione proprio Mallarmé, come il sole attorno al quale ruotavano gli altri pianeti, nel libro citato.
Dunque: fine dei giochi? Adieu a Hegel e alla sua idea di lirica, nell'«Estetica»?
Niente affatto!
Non ritengo che l'idea di lirica hegeliana sia superata dalla Storia; a motivo che non credo a una concezione del Tempo inteso solo in senso cronologico.
Gli antichi greci usavano ben tre parole per indicare (e distinguere) il Tempo: χρόνος (il tempo cronologico), καιρός (un tempo di tipo qualitativo, un tempo nel mezzo del tempo cronologico, in cui accada qualcosa di speciale e memorabile) ed αἰών (che è l'Eterno). Ce ne sarebbe pure una quarta ma è meno importante. Aggiungo anche un'altra considerazione, introducendo il termine psiche (ψυχή), «la cui etimologia si riconduce all’idea del ‘soffio’, cioè del respiro vitale; presso i Greci designava l’anima in quanto originariamente identificata con quel respiro.
Nella psicologia moderna, il termine è inteso come il complesso delle funzioni e dei processi che danno all’individuo esperienza di sé e del mondo e ne informano il comportamento» (cito dalla voce filosofica nella Treccani).
Jung diceva che la psiche umana, almeno in parte, non fosse soggetta alle categorie di Spazio e di Tempo.
Per questo, anche riferendomi all'idea di «eterno ritorno» in Nietzsche e ai corsi e ricorsi storici in Vico o al capolavoro di Spengler «Il tramonto dell'Occidente», non ho mai creduto alla favoletta del Gruppo '63, secondo la quale alcuni autori del recente passato apparissero «superati» (tristemente famosa la battuta: «Cassola e Bassani sono le Liale del 1963»; o, «dopo Luzi, si volta pagina» ecc.): quella era solo una mossa politico-strategica per instaurare un nuovo ordine; era la presa della Bastiglia, con una penetrazione sistematica nei centri nevralgici (università, editoria, Rai ecc.).
Oggi però - nel 2019 - si leggono e si apprezzano ancora Cassola (cfr. il saggio di Matteo Marchesini nel suo recente «Casa di carte») e Bassani; pure Luzi (nonostante l'ostracismo ideologico di certi accademici) gode di ottima salute, presso i lettori, non solo italiani.
Non so, invece, quanto siano lette le opere di Sanguineti e compagni, nonostante gli sforzi accademici ed editoriali per riproporli (o imporli?).
Tornando all'idea hegeliana di lirica: la Storia dimostra, ove mai, che non è affatto superata (e lo dico da non hegeliano). E la poesia non credo, tra l'altro, che possa (o debba) essere l'ancella della Storia.
Dunque? Non sarebbe più ragionevole, smettere di fare la guerra al concetto di lirica hegeliano? Ed accoglierlo, piuttosto, «anceschianamente» come uno dei tanti fenomeni di poetica, individuandone, semmai, le varianti, gli imbastardimenti e i risultati migliori?

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