Intorno alle scuole di scrittura creativa
Provo a rispondere a una frustata sadomaso (non sulla mia pelle) di Patrizia Valduga, in http://www.pangea.news/quelli-delle-scuole-di-scrittura-poetica-andrebbero-messi-in-galera-patrizia-valduga-dialoga-con-matteo-fais/?fbclid=IwAR1lpZfTcb1fi6OvZ01qOuDq30C1WDTqGOE22qLZz7SJ8CXgVxNY-GwjotQ
Non sono pregiudizialmente contro le scuole di scrittura creativa, soprattutto nel sistema educativo americano e nelle loro università:
una solida tradizione; ma gli USA sono il paese della democrazia (a
partire dal loro Whitman) e dell'etica protestante o cattolica pure
molto influenzata dalla rigida morale del protestantesimo.
A una
certa altezza temporale, ho notato un proliferare (con il passare degli anni, sempre più diffuso) di scuole di scrittura creativa (o di cinema) a
pagamento (spesso non proprio a buon mercato), anche in Italia. Spuntano come funghi. E, si sa, ci sono quelli buoni da mangiare e quelli velenosi.
Per
carità: libertà di educazione e libera iniziativa per chi voglia
colmare una vistosa lacuna nella formazione scolastica statale italiana,
dove - almeno quando ero universitario io - mancava una direzione
educativa autorevole, in questi settori specifici; il cinema era
studiato più che altro in modo teorico e «storicistico» (eredità
dell'idealismo di Croce e Gentile ma anche di Gramsci) piuttosto che
pragmatico e operativo, come nelle università americane.
Ma lasciamo da parte le scuole di cinema e restringiamo il campo alle cosiddette scuole di scrittura creativa.
Quanto servono, in realtà, allo scopo?
Negli
USA, un grande scrittore come Carver ebbe pure un maestro di scrittura
creativa e diventò Carver; probabilmente, tanti altri suoi colleghi, sotto la
guida del medesimo insegnante, non sono diventati scrittori. O, altri
ancora, come Charles Bukowski lo sono diventati senza frequentare scuole
di scrittura ma semplicemente scegliendo i propri maestri da leggere
(Céline, in particolare, nel caso di Bukowski).
Pazienza: ci hanno
almeno provato... Ad ogni modo, nella patria della democrazia,
l'insegnamento della scrittura creativa è una roba seria, con anni e anni di tradizione; e i college
americani privati sono molto cari. Il tutto in un percorso e in un contesto educativo non proprio simili all'Europa (benché, negli anni, si siano infittiti gli scambi e le reciproche esperienze, in senso global).
In Italia, complice una
legislazione non so quanto chiara, nel merito, dagli anni Novanta ad
oggi, le cosiddette scuole di scrittura creativa (o master, laboratorî
ecc.) sono spuntate come funghi: la maggior parte, a pagamento.
Una di quelle più note e di prestigio è la Scuola Holden di Baricco.
Domanda: quanto servono allo scopo? Si può insegnare a scrivere? Si possono formare poeti e scrittori?
Una
cosa è il rapporto gratuito con i maestri che ti scegli o che incontri per «destino», nel mio caso: Davide Rondoni e Mario
Luzi, più di altri; poi c'è il rapporto con i maestri morti del passato o
con quelli vivi che non frequenti fisicamente ma che senti per telefono
o per lettera (per me: il poeta e romanziere Giuseppe Conte, in
particolare).
Un'altra cosa è iscriversi (a pagamento) in una scuola
di scrittura creativa: dove uno come me, piuttosto intuitivo, cólto e
scafato, saprebbe sicuramente scegliere bene i maestri e giudicarli
strada facendo; ma potrebbero fare altrettanto giovani diciottenni inesperti o adulti digiuni di studî e letture?
No!
Ecco che talune scuole di scrittura creativa (a pagamento) possono
diventare una vera e propria truffa e un business per chi ci guadagni,
sfruttando i sogni, le ambizioni o le velleità degli aspiranti poeti o
romanzieri; o, alla meno peggio, concretizzano un'entrata in più per romanzieri, poeti, sceneggiatori, autori ecc. che insegnano.
Totò diceva, in un film «Totòtruffa '62»: «Ma vedi: è
che nella vita ci sono più fessi che datori di lavoro» (per giustificare
le sue truffe «romantiche» al commissario Malvasia che gli consigliava
di cercare un lavoro onesto).
https://www.youtube.com/watch?v=yX1FOA1R28I
In quel film, Totò, nel personaggio di
Antonio Peluffo, (con il complice Nino Taranto/Camillo) riesce a
vendere perfino la Fontana di Trevi!
E quale serbatoio migliore di
allocchi o fessi, quello della scrittura creativa? Specie in Italia dove
tutti scrivono o vorrebbero (dalle statistiche sociali, negli USA, per
esempio, gli aspiranti scrittori sono, in proporzione agli abitanti,
molto meno: l'americano è più pragmatico e considera la scrittura
creativa quasi come una forma di debolezza o cedimento, quando non una
vera e propria perdita di tempo).
Ma veniamo a un altro aspetto del
problema: quanto le scuole di scrittura creativa producono scrittori in
serie come polli di batteria o come pesci d'allevamento, per rifornire
poi l'editoria a caccia, non sempre di scrittori artisticamente alti, ma più spesso di
«personaggi» buoni per un certo target di mercato e con un tipo di
scrittura digeribile e vendibile? Tanti scrittori simili (e, in molti casi, mediocri) vuol dire: piattezza e catabasi culturale. Magari ci potrà essere un buon intrattenimento diffuso. Al contrario, un bel gruppo di ottimi scrittori (magari con qualche eccellente fuoriclasse), tutti originali e dissimili, significa: ricchezza espressiva e artistica. Tutto qui, non è difficile da capire.
Una bellissima ragazza (o, comunque, una che abbia una spendibilità come personaggio, immagine, corpo, vicende esistenziali, risonanze politico-sociologiche-ideologiche), con
una scrittura leggera e comunicativa e con una storia forte e avvincente,
sarebbe il sogno del grande editore: peccato che un Kafka, un Borges,
uno Joyce o un Landolfi non entrerebbero in tale modesta rete da pesca e
sarebbero probabilmente rifiutati (per essere, quando va bene, accolti
da un piccolo editore di qualità).
Così - come diceva Manlio
Sgalambro - la scrittura, come espressione autenticamente umana e
come grande avventura della Forma, diventa una cosetta da scienze della
comunicazione, con le sue regolette e con le sentinelle, nelle scuole di
scrittura o nell'editoria maggiore, pronte a farle rispettare.
Ma la comunicazione segnica è una cosa da insetti; l'espressione umana, invece, ci riguarda. https://www.youtube.com/watch?v=K8yzn3AAJG8
Ripeto: non intendo essere troppo apodittico e, come dicevo, non sono
pregiudizialmente contrario alle scuole di scrittura creativa: dipende
da tanti fattori, a cominciare dai maestri e dai metodi di insegnamento
(e dagli eventuali costi, ecc.).
Dunque,
seguendo il paragone, una ragazza oggettivamente brutta può sottoporsi a
svariate operazioni di chirurgia estetica (sperando che il chirurgo sia
almeno bravo e onesto nei prezzi) e migliorare (o crederlo) nel suo
aspetto fisico; ma non sarà mai bella come Monica Bellucci a
vent'anni!
Similmente, l'allievo delle scuole di scrittura.
Una
cosa diversa sarebbero le scuole serie di lettura (che, guarda caso, non sembrano così diffuse): insegnare a leggere (e a selezionare) a tutti si
può e mi pare cosa buona e giusta. Ma avrebbero lo stesso
appeal d'acchiappo?
Per esempio: se ci fosse una «Scuola di lettura Roberto
Bazlen», sponsorizzata da Adelphi e da Roberto Calasso, io, tempo
permettendo, mi fionderei... ma la maggioranza degli
aspiranti poeti e scrittori?
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