Rosi II, candidato italiano agli Oscar: una mia risposta al critico cinematografico Alberto Crespi


 

Caro Alberto,

abbiamo avuto un veloce scambio su Facebook, dopo un tuo post sulla scelta del film «Notturno» di Rosi quale rappresentante italiano per concorrere agli Oscar. Questa è la seconda volta che si decide di proporre Rosi; lo si era fatto anche per il precedente «Fuocoammare», che però non entrò neppure nella short list del premio americano.  

Mi hai detto che i criteri di scelta sono un po' complessi e che si sceglie il film con più probabilità di vittoria, a prescindere se sia il migliore sulla piazza; e hai affermato pure che, secondo te, Rosi ha fatto ottimi film per un «cinema del reale».

Cominciamo dal primo punto: in base a cosa si può stabilire che un film abbia più probabilità di vittoria rispetto a un altro? Forse, nel caso precedente di «Fuocoammare», il tema degli immigrati avrebbe potuto incrociare la sensibilità degli americani? Be', mi pare alquanto improbabile e, infatti, non è poi entrato neppure tra i nove (tu parli di sfortuna). 

E adesso? Perché si è scelto «Notturno» e non il film sul pittore Ligabue di Giorgio Diritti (che pure, nonostante il pesante handicap del Covid, ha avuto una buona risposta del pubblico) o, magari, il Pinocchio di Garrone, non certo memorabile come quello di Comencini ma pur sempre una storia italiana universalmente riconoscibile, tratta dal libro italiano più tradotto nel mondo? Per tacere di altri possibili candidati.

Sì, «Notturno» tocca certe questioni del Medio Oriente che possono sembrare più «internazionali», ma bisogna anche valutare il taglio registico dell'autore.

Se decidessi di guardare «Notturno», io so già cosa mi aspetterebbe: una discesa nel dolore e nell'inferno di una "realtà" che non è neppure la mia né mi riguarda, in un film ricattatorio con l'aggravante di un estetismo fin troppo ricercato, nelle immagini, nelle inquadrature ecc. 

Se fossi un miliardario che volesse pulirsi la coscienza attraverso gli «human rights» o cercasse sensazioni diverse, magari potrei anche farlo; ma ho già la mia realtà e le circostanze di essa a cui rispondere; questo è il realismo: rispondere alle circostanze della tua vita; e, come diceva Tommaso d'Aquino, il fratello (o il prossimo, come suggerisce il termine stesso) è prima di tutto il tuo vicino (della riunione di condominio, del calcetto o il collega di lavoro, o il povero diavolo del tuo quartiere o chiunque ti chieda aiuto).

Rosi, che ha l'animo del documentarista, ama immergersi nel magma del disagio o della povertà, anche prendendo qualche rischio; diciamo che una parte della sua vita si spende all'inferno e l'altra nel glamour e nel lusso della mondanità festivaliera internazionale, col suo look da dandy; in quell'atmosfera irreale da red carpet (come dicevano, non ricordo più se Allen o Polański o entrambi).

Il dolore che raccoglie, nella sua stagione all'inferno, per citare un immenso libro di Rimbaud, che nulla però ha a che fare con Rosi e ha invece qualche legame (ascendenze, le chiamano) con la mia opera poetica in fieri (almeno, secondo qualche critico letterario o poeta importante), viene poi servito attraverso l'estetismo delle immagini di cui dicevo.

A me questa pare una forma di vampirismo e di "opportunismo" ricattatorio e "politically correct"; comunque è un "lusso" che non posso permettermi; ho già i miei problemi. Lo lascio ai frequentatori dei festival.

Quanto al discorso sulla cosiddetta realtà, nel cinema, e sul «cinema del reale», ti faccio presente che, già nella filosofia moderna e contemporanea o nella fisica quantistica che sembra tanto vicina al buddhismo di Nāgārjuna, il concetto di realtà non è poi così scontato; di certo, non lo è nel modo in cui ci appare; e per quanto io cerchi di attaccarmi al mio realismo cristiano, che contesterebbe queste posizioni filosofiche o scientifiche più recenti, non posso ignorarle del tutto. E, dunque, se già l'idea stessa di realtà ci appare incerta e illusoria, figuriamoci poi la sua riproduzione cinematografica; sarebbe un'illusione al quadrato.

Ma anche senza entrare nel campo filosofico, non so se ricordi le critiche che Monicelli muoveva al neorealismo di «Ossessione» di Visconti (film che pure amo, ma anche per la tragicità greca della storia del romanzo; e, infatti, mi piacciono tutte le tre riduzioni cinematografiche: quella di Visconti, quella di Tay Garnett con Lana Turner e quella di Rafelson con la coppia Nicholson/Lange; non ho visto quella francese, del '39). Monicelli diceva, più o meno: «Sì, lo chiamano neorealismo ma è una realtà filtrata e fin troppo cinematograficamente preparata, curata ecc.». Voglio riportarti il senso della critica di Monicelli: le parole esatte puoi trovarle tu o le conosci già. Questo vale tanto più per un regista perfezionista, esigente ed esteta quale Visconti.

Ma vale anche per Rosi: sì, una discesa nell'inferno, uno sguardo sul dolore, tra silenzî e assenza di giudizî morali, però con un'attenzione fin troppo maniacale alle belle immagini e alle inquadrature raffinate... per un impatto estetico che mantenga il tono "ricattatorio" e una certa morbosità voyeuristica, ma adattati al gusto glamour della «gauche caviar» internazionale da festival.

Non credo ci sia neppure quello sguardo pregno di sacralità di Pasolini sulla realtà dell'umile Italia o quel sentimento della «negritudine» che diceva: ecco, io avrei visto gli ultimi due film di Rosi, se però li avesse girati Pasolini.

Come ti dicevo, ho tastato gli umori su un campione di spettatori, tra la cerchia di conoscenze virtuali o personali che, negli anni, mi sono capitate a tiro, a partire dal «Sacro GRA» fino all'ultimo lavoro di Rosi; e non ho riscontrato entusiasmi o elogi particolari; magari, la tua pesca è stata più miracolosa; o forse Rosi paga il fio del suo documentarismo «sui generis». Ad ogni modo, a prescindere da chi venga scelto per rappresentare l'Italia agli Oscar, a me interessano solo due cose: la libertà (nella cultura e nell'arte) e il merito. Per questo mi piacerebbe se il film da "spedire" negli USA potessero deciderlo innanzitutto gli spettatori italiani: perché si partirebbe da una base più o meno realistica e non dai pronostici su fondamenti invisibili o da interessi altri…

O forse qualcuno avrebbe potuto pronosticare la vittoria agli Oscar di un film come «Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto»? No! Ma facevano la fila al cinema ed era pure un grande film! Pubblico e qualità, dunque... Non strani giochi di "corpi intermedî"...  

Ti saluto,

con due citazioni che ben esprimono le mie riserve:


«Vi è uno stadio di falsità incallita, che si chiama coscienza pulita».

F. Nietzsche

Al di là del bene e del male

 

«Mi piace Stroheim e non mi piace Flaherty. Non mi piacciono i documentari. Mi fanno ridere. C'è il massimo della manipolazione, perché fingono di documentare quello che non è documentabile».

Elio Petri





Commenti

Post più popolari