Rêveries 2
Ripropongo una delle mie passeggiate culturali, toccando a squarci, per lampi e illuminazioni, alcune questioni che negli ultimi giorni mi sono state poste. Parto da alcune proposizioni di poetica che ovviamente riguardano da vicino anche ciò che scrivo. La mia natura poetica mi porterebbe ad essere accorpato e incluso in quella famiglia letteraria che riunisce artisti sotto l’egida del maledettismo: una lunga tradizione che potrebbe andare da Villon ai poeti maledetti francesi sino a Céline; ma potrebbe toccare anche talune zone del romanticismo esplorato dal Praz di La carne, la morte e il diavolo. Come ho già detto in un precedente post, sono appassionato di quello che è il daimon, il demone in letteratura.
Chiaramente, questa mia opzione e interesse potrebbero esser tacciati di irrazionalismo reazionario dai corifei del razionalismo cartesiano e dai progressisti vari, politicamente corretti (o corrotti…). Da questa culla è facile finire tra le braccia di un certo esoterismo magico unito a un barocchismo che un po’ viene dalle mie origini leccesi (il Salento, la zona più pregna di umori passionali e dionisiaci e magie e archetipi e usanze di un’ arcaica tradizione, della Puglia, come alcuni film di Rubini e Winspeare mostrano…) e da mie più lontane origini spagnole.
L’esoterismo è una vasta pentola che accoglie le più disparate personalità, da Ficino e Giordano Bruno, da certe zone di Rimbaud e Baudelaire e di altri poeti simbolisti o maledetti fino a studiosi come Zolla, Guénon, Evola… Umberto Eco in Il fascismo eterno, (compreso nei Cinque scritti morali, Bompiani) considera le attitudini elitarie, aristocratiche, esclusive e irrazionaliste proprie del pensiero esoterico, come le caratteristiche di un perpetuo «Ur-fascismo». E come lui molti altri, benché ci siano movimenti e interessi.
Ermetismo , dunque, orfismo: componenti in parte presenti nel mio primo libro Diario tra due estati, da cui l’uso di materiali provenienti dal simbolismo “nero”, anche in maniera un po’ polemica per una rivendicazione di antimodernismo, ma corretti e mitigati da altre influenze che mi accingo a spiegare.
Dunque il mio libro non piacerà mai ai critici che, per un antico pregiudizio su ogni forma di irrazionalismo, lo appiattiscono dalla specola di un discorso storicista e razionalista, finendo per vedermi come un poeta fascio come dicono a Roma, un poeta di destra: invece c’è solo un vitalismo e una libertà estrema e romantica, anarchica…Un’esaltazione gestaltica…
C’è ben presente anche una mia innata classicità, una nitidezza, una chiarezza che vengono da una componente greca della mia natura: quindi i materiali luciferini gotico-romantici-simbolisti si sposano con una classicità e una naturalezza molto antica - (non per nulla amo i poeti greci come Ritsos, Kavafis e Seferis)…Nelle ultime cose che scrivo, mi pare che questa tendenza più classica abbia preso il sopravvento: sentite cosa mi dice l’amico e bravo Claudio Damiani in una sua email – “…c’è un' aria crepuscolare in senso alto (Corazzini, Palazzeschi), un vagare cittadino tra mendicanti, ninnoli, cianfrusaglie, organetti di barberia tristi e allegri, piccioni (Tutta la sua vita fila via /in cure di poco conto…) c’è una civiltà millenaria in millenario sfascio, una decadenza classica, eterna (penso a Kavafis e ancora, come già ti dissi, a quel grande periodo tra fine ottocento e inizi novecento, in cui tu come ritorni, in modo nuovo come allucinato, o forse noi tutti ritorniamo, in quel tempo prima delle avanguardie, prima dei lager e dei gulag, prima del secondo dopoguerra)”.
Lo riporto perché mi pare molto centrato per gli ultimi testi…
Infine c’è l’incontro con il cristianesimo e la vita della rivista clanDestino e la ventennale amicizia con Davide Rondoni che mi hanno portato a una vicinanza e sintonia con quei poeti gravitanti intorno ad essa.
Nei poeti di ClanDestino è forte il credito dato all’ Erlebnis, alla vita, alla natura più che alla Kultur: in maniera non pregiudicata da ipoteche nichilistiche…
Nei poeti di ClanDestino, o vicini, la vita è un’ avventura interessante da vivere (e ci sono dietro Luzi, Betocchi e altri maestri forti…).
I poeti clanDestini (e penso a Rondoni, Lauretano, Gibellini, Serragnoli, Mencarelli, Davoli, Leardini, Fossati, Piccini e altri) sono i meno intellettuali e i più avventurosi tra le voci nuovi (intendendo intellettuale in senso negativo…).
Ad ogni modo, sono chiare le componenti restaurative del mio modo di scrivere poesia: io mescolo, in una maniera originale e nuova, mi pare, quasi tutti gli ingredienti inaccettabili per una certa cultura: il soggetto forte, contro la spersonalizzazione, il canto, il ritmo, l’energia vitale, una fluidità di scrittura, la mitografia personale e l’autobiografia, una componente mitica, la suggestività, le immagini evocative, le allusioni, le metafore (che una critica ottusa bolla, in genere e non per accaduto personale, nel loro sommarsi, come effetto cloroformio ignorando come essi siano tutti strumenti di connessione al Mistero della vita e all’orfanità dell’essere…). Ma, nella superficialità ideologica di molta critica italiana (perché questo è un vizio più italiano che non tocca solo la poesia ma anche il cinema…) chi si rapporta al Mistero della vita è dannatamente kitsch…(Accuse in tal senso sono state anche rivolte a Rondoni…)…
Gli storici della cultura potrebbero indagare sulle matrici di tali dogma culturali, scoprendo ovviamente come, nella realtà italiana, la vulgata si sia estesa a macchia d’olio soprattutto dal dopoguerra in poi, quando, nella latitanza di una cultura cattolica e nella clandestinità da caccia alle streghe della cultura di destra, si sia imposta un’egemonia prepotente e dittatoriale del Partito Comunista. Non è che sia cambiato molto, da allora, solo che è aumentata l’indifferenza e la superficialità come esiti di quel genocidio culturale provocato dal neocapitalismo, profetizzato dal solito geniale Pasolini (che, a mio avviso, più che uno dei sacerdoti del verbo razional-progressista-marxista, ne fu una vittima illustre e combattuta, e prima nella propria coscienza).
Quindi i miei intenti restaurativi e polemici, non vanno visti come una regressione che ha come esito un’artificialità della forma (come nella Valduga o in Frasca) per intenti stilistici o etici ma come un ritorno all’innocenza e all’autenticità del dire (e forse per questo sento così vicini poeti così necessari come Penna, Ritsos, Salvia, e tra i nuovi, Fossati e Gibellini…).
Non è colpa mia se mi sento più in sintonia dialogando con i Cecchi, i Praz, i Montale, i Beguin (e tutti i campioni della cultura ante-guerra o gli stranieri più liberi del dopoguerra…): non è colpa mia se i Deleuze mi paiono così astratti e così poco umani…(Anche Colasanti, in un'intervista, ha detto che non c'è paragone tra la grande critica letteraria anni '30 e quella di oggi...)...
Sono abbastanza fiero di aver ricevuto gli apprezzamenti di un critico supercilioso quale Pietro Citati (quello a cui Mondadori ha dedicato l’ultimo Meridiano uscito…): il quale appartiene a quella famiglia di critici di vasta cultura, umanisti nel vero senso della parola e non a quella più ampia degli angusti e angustiati dottorini di ricerca iperspecializzati nell’orticello minimo e concluso di una “certa” poesia…
Da qui, con un passaggio ardito, muovo a formulare alcune considerazioni sul realismo in poesia, rispondendo a Davide Nota, del quale apprezzo molto l’opera poetica in fieri…
In un post pubblicato in vari blog e in un’ email privata, Davide mi lascia intravedere la sua concezione di realismo: è chiara la sua ascendenza da D’Elia e dall’esperienza di Lengua (le sue considerazioni sul neo-volgare), la quale discende dal Pasolini di Officina che a sua volta faceva sue, nella sua concezione di realismo, certe istanze del positivismo ottocentesco e del marxismo.
Ritengo che la smania di realismo che prese nel dopoguerra e accese molti dibattiti degli anni cinquanta, lanciando frecce avvelenate soprattutto contro i poeti ermetici e in particolare Mario Luzi , fosse un’esigenza giusta che finiva però, per la forte componente ideologico-marxista che la sottendeva, a proporre un’idea astratta di realtà…
Non ne fu immune Pasolini come tutti quelli che pretendevano di spiegare la realtà, totalmente e ultimamente, attraverso le griglie un po’ rigide del marxismo.
Spostandoci un attimo nel cinema: Pasolini, per esempio, nel suo film-inchiesta “Comizi d’amore” viene fuori come un intellettuale dalle idee molto astratte: paradossalmente, sembrano più fresche e vibranti certe risposte date dal popolino, ricche di una saggezza antica: paiono molto più reali e concrete.
Ma quello che salvava Pasolini (nel confronto per esempio con i Fortini o i Moravia) era la sua anima cristica e non certo farisaica. Egli non è mai stato un sacerdote, non ha mai avuto pretese di ortodossia alla vulgata: la sua visceralità e il suo forte senso del sacro, quasi memoria di un cristianesimo rurale e contadino, il suo cuore lo facevano volare più alto.
Credo che la grandezza di Pasolini sia data dalla somma di tutte le sue numerose attività. Quanto al poeta, ha zone non tutte attive…
Le mie riserve nascono da idee prossime più al pensiero del Raboni che parlava di un poeta senza poesia che a quelle della neoavanguardia, critica verso il suo visceralismo che invece è la chiave per far luce su molti aspetti della sua opera.
Opera che credo debba intendersi come una imitatio Christi per negationem…Anche l’assassinio e il volto coperto di sangue, Christus patiens, sono parte di una sua propria parabola esistenziale evangelica.
Le zone ideologiche di Pasolini sono le meno interessanti e le più datate…
Chiaramente, questa mia opzione e interesse potrebbero esser tacciati di irrazionalismo reazionario dai corifei del razionalismo cartesiano e dai progressisti vari, politicamente corretti (o corrotti…). Da questa culla è facile finire tra le braccia di un certo esoterismo magico unito a un barocchismo che un po’ viene dalle mie origini leccesi (il Salento, la zona più pregna di umori passionali e dionisiaci e magie e archetipi e usanze di un’ arcaica tradizione, della Puglia, come alcuni film di Rubini e Winspeare mostrano…) e da mie più lontane origini spagnole.
L’esoterismo è una vasta pentola che accoglie le più disparate personalità, da Ficino e Giordano Bruno, da certe zone di Rimbaud e Baudelaire e di altri poeti simbolisti o maledetti fino a studiosi come Zolla, Guénon, Evola… Umberto Eco in Il fascismo eterno, (compreso nei Cinque scritti morali, Bompiani) considera le attitudini elitarie, aristocratiche, esclusive e irrazionaliste proprie del pensiero esoterico, come le caratteristiche di un perpetuo «Ur-fascismo». E come lui molti altri, benché ci siano movimenti e interessi.
Ermetismo , dunque, orfismo: componenti in parte presenti nel mio primo libro Diario tra due estati, da cui l’uso di materiali provenienti dal simbolismo “nero”, anche in maniera un po’ polemica per una rivendicazione di antimodernismo, ma corretti e mitigati da altre influenze che mi accingo a spiegare.
Dunque il mio libro non piacerà mai ai critici che, per un antico pregiudizio su ogni forma di irrazionalismo, lo appiattiscono dalla specola di un discorso storicista e razionalista, finendo per vedermi come un poeta fascio come dicono a Roma, un poeta di destra: invece c’è solo un vitalismo e una libertà estrema e romantica, anarchica…Un’esaltazione gestaltica…
C’è ben presente anche una mia innata classicità, una nitidezza, una chiarezza che vengono da una componente greca della mia natura: quindi i materiali luciferini gotico-romantici-simbolisti si sposano con una classicità e una naturalezza molto antica - (non per nulla amo i poeti greci come Ritsos, Kavafis e Seferis)…Nelle ultime cose che scrivo, mi pare che questa tendenza più classica abbia preso il sopravvento: sentite cosa mi dice l’amico e bravo Claudio Damiani in una sua email – “…c’è un' aria crepuscolare in senso alto (Corazzini, Palazzeschi), un vagare cittadino tra mendicanti, ninnoli, cianfrusaglie, organetti di barberia tristi e allegri, piccioni (Tutta la sua vita fila via /in cure di poco conto…) c’è una civiltà millenaria in millenario sfascio, una decadenza classica, eterna (penso a Kavafis e ancora, come già ti dissi, a quel grande periodo tra fine ottocento e inizi novecento, in cui tu come ritorni, in modo nuovo come allucinato, o forse noi tutti ritorniamo, in quel tempo prima delle avanguardie, prima dei lager e dei gulag, prima del secondo dopoguerra)”.
Lo riporto perché mi pare molto centrato per gli ultimi testi…
Infine c’è l’incontro con il cristianesimo e la vita della rivista clanDestino e la ventennale amicizia con Davide Rondoni che mi hanno portato a una vicinanza e sintonia con quei poeti gravitanti intorno ad essa.
Nei poeti di ClanDestino è forte il credito dato all’ Erlebnis, alla vita, alla natura più che alla Kultur: in maniera non pregiudicata da ipoteche nichilistiche…
Nei poeti di ClanDestino, o vicini, la vita è un’ avventura interessante da vivere (e ci sono dietro Luzi, Betocchi e altri maestri forti…).
I poeti clanDestini (e penso a Rondoni, Lauretano, Gibellini, Serragnoli, Mencarelli, Davoli, Leardini, Fossati, Piccini e altri) sono i meno intellettuali e i più avventurosi tra le voci nuovi (intendendo intellettuale in senso negativo…).
Ad ogni modo, sono chiare le componenti restaurative del mio modo di scrivere poesia: io mescolo, in una maniera originale e nuova, mi pare, quasi tutti gli ingredienti inaccettabili per una certa cultura: il soggetto forte, contro la spersonalizzazione, il canto, il ritmo, l’energia vitale, una fluidità di scrittura, la mitografia personale e l’autobiografia, una componente mitica, la suggestività, le immagini evocative, le allusioni, le metafore (che una critica ottusa bolla, in genere e non per accaduto personale, nel loro sommarsi, come effetto cloroformio ignorando come essi siano tutti strumenti di connessione al Mistero della vita e all’orfanità dell’essere…). Ma, nella superficialità ideologica di molta critica italiana (perché questo è un vizio più italiano che non tocca solo la poesia ma anche il cinema…) chi si rapporta al Mistero della vita è dannatamente kitsch…(Accuse in tal senso sono state anche rivolte a Rondoni…)…
Gli storici della cultura potrebbero indagare sulle matrici di tali dogma culturali, scoprendo ovviamente come, nella realtà italiana, la vulgata si sia estesa a macchia d’olio soprattutto dal dopoguerra in poi, quando, nella latitanza di una cultura cattolica e nella clandestinità da caccia alle streghe della cultura di destra, si sia imposta un’egemonia prepotente e dittatoriale del Partito Comunista. Non è che sia cambiato molto, da allora, solo che è aumentata l’indifferenza e la superficialità come esiti di quel genocidio culturale provocato dal neocapitalismo, profetizzato dal solito geniale Pasolini (che, a mio avviso, più che uno dei sacerdoti del verbo razional-progressista-marxista, ne fu una vittima illustre e combattuta, e prima nella propria coscienza).
Quindi i miei intenti restaurativi e polemici, non vanno visti come una regressione che ha come esito un’artificialità della forma (come nella Valduga o in Frasca) per intenti stilistici o etici ma come un ritorno all’innocenza e all’autenticità del dire (e forse per questo sento così vicini poeti così necessari come Penna, Ritsos, Salvia, e tra i nuovi, Fossati e Gibellini…).
Non è colpa mia se mi sento più in sintonia dialogando con i Cecchi, i Praz, i Montale, i Beguin (e tutti i campioni della cultura ante-guerra o gli stranieri più liberi del dopoguerra…): non è colpa mia se i Deleuze mi paiono così astratti e così poco umani…(Anche Colasanti, in un'intervista, ha detto che non c'è paragone tra la grande critica letteraria anni '30 e quella di oggi...)...
Sono abbastanza fiero di aver ricevuto gli apprezzamenti di un critico supercilioso quale Pietro Citati (quello a cui Mondadori ha dedicato l’ultimo Meridiano uscito…): il quale appartiene a quella famiglia di critici di vasta cultura, umanisti nel vero senso della parola e non a quella più ampia degli angusti e angustiati dottorini di ricerca iperspecializzati nell’orticello minimo e concluso di una “certa” poesia…
Da qui, con un passaggio ardito, muovo a formulare alcune considerazioni sul realismo in poesia, rispondendo a Davide Nota, del quale apprezzo molto l’opera poetica in fieri…
In un post pubblicato in vari blog e in un’ email privata, Davide mi lascia intravedere la sua concezione di realismo: è chiara la sua ascendenza da D’Elia e dall’esperienza di Lengua (le sue considerazioni sul neo-volgare), la quale discende dal Pasolini di Officina che a sua volta faceva sue, nella sua concezione di realismo, certe istanze del positivismo ottocentesco e del marxismo.
Ritengo che la smania di realismo che prese nel dopoguerra e accese molti dibattiti degli anni cinquanta, lanciando frecce avvelenate soprattutto contro i poeti ermetici e in particolare Mario Luzi , fosse un’esigenza giusta che finiva però, per la forte componente ideologico-marxista che la sottendeva, a proporre un’idea astratta di realtà…
Non ne fu immune Pasolini come tutti quelli che pretendevano di spiegare la realtà, totalmente e ultimamente, attraverso le griglie un po’ rigide del marxismo.
Spostandoci un attimo nel cinema: Pasolini, per esempio, nel suo film-inchiesta “Comizi d’amore” viene fuori come un intellettuale dalle idee molto astratte: paradossalmente, sembrano più fresche e vibranti certe risposte date dal popolino, ricche di una saggezza antica: paiono molto più reali e concrete.
Ma quello che salvava Pasolini (nel confronto per esempio con i Fortini o i Moravia) era la sua anima cristica e non certo farisaica. Egli non è mai stato un sacerdote, non ha mai avuto pretese di ortodossia alla vulgata: la sua visceralità e il suo forte senso del sacro, quasi memoria di un cristianesimo rurale e contadino, il suo cuore lo facevano volare più alto.
Credo che la grandezza di Pasolini sia data dalla somma di tutte le sue numerose attività. Quanto al poeta, ha zone non tutte attive…
Le mie riserve nascono da idee prossime più al pensiero del Raboni che parlava di un poeta senza poesia che a quelle della neoavanguardia, critica verso il suo visceralismo che invece è la chiave per far luce su molti aspetti della sua opera.
Opera che credo debba intendersi come una imitatio Christi per negationem…Anche l’assassinio e il volto coperto di sangue, Christus patiens, sono parte di una sua propria parabola esistenziale evangelica.
Le zone ideologiche di Pasolini sono le meno interessanti e le più datate…
Tuttavia, se penso al realismo in poesia, oggi, non mi vengono in mente Pasolini o Volponi ma Franco Loi, Betocchi e certo Luzi, soprattutto dalle Primizie al Magma… Quello è il realismo dal quale sono più provocato, un realismo che diventa naturalezza.
Se penso a un poeta realista più giovane, non mi viene in mente D’Elia (del quale apprezzo più l’anima leopardiana o i bagliori di una linea Saba-Bertolucci–Penna degli inizi, che quella pasoliniana - di un Pasolini però più rigido sul fronte ideologico…) ma Rondoni.
Caro Davide Nota, per parlare di realtà non è detto che si debba necessariamente discettare di puttane, politica e televisione, o degli aspetti più sgradevoli (come fa Santi) in una lingua medio-bassa…Per quello ci sono già i giornali…Anzi, spesso quel furore espressionistico (da me molto praticato a vent’anni e “addomesticato” proprio da Rondoni) può portare paradossalmente ad un allontanamento dalla realtà e dalle cose ed essere invece un nuovo e ulteriore e più subdolo atteggiamento narcisistico…Ovviamente si può anche praticare questa via ma non considerarla come l’unica che porti al realismo.
Gibellini che scrive una bella poesia raccontando di un suo viaggio in treno o un poeta che scriva di una sua passeggiata, o uno che parli di una sua realtà privatissima e intima, ti paiono cose poco realistiche o neoermetiche o da parola innamorata?
Sandro Penna non è un poeta realista? Saba non è realista? Corazzini e Palazzeschi non sono realisti?
Intendo che, non vedo, se non come un falso problema, questa contrapposizione tra realismo e lirica. Che poi è l’annosa e ormai un po’ scolastica contrapposizione tra funzione Dante e funzione Petrarca…
Semmai conta di più come si esprima una particolare realtà, un mondo poetico…
Tu, Davide, parli, negativamente, di poeti neoermetici che io non scorgo a livello di libri usciti per editori importanti… Non credo che siano neoermetici né Pontiggia (che semmai guarda alla classicità greco-latina) né Conte (che guarda al mito e al Romanticismo)…Carifi e DeAngelis sono forse neoermetici? Non mi pare proprio…Forse sono più poeti tragici…
Trovami o dimmi il nome di un poeta neoermetico…
Anch’io ho parlato di spogliarelliste e di ragazze traviate in alcuni miei testi, guardando più a Baudelaire che a Pasolini o a D’Elia, e allora? Sono meno realista?
L’egemonia editoriale non è certo quella della lirica intimista, mi pare; i poeti più “pompati” sono o gli epigoni (o i cloni) dei maestri della linea lombarda o quelli dalla componente fortemente intellettualistica o sperimentale…
A me personalmente non interessa però chi prenda un bel campo semantico e lo faccia scontrare con un altro campo semantico provocando effetti di cortocircuito o di straniamanto: (operazioni che possono essere interessanti in grandi poeti come Zanzotto, meno in certi maldestri imitatori…)…
Resto ancora legato a una poesia - realistica o no - che conservi un suo ritmo, un suo canto, una sua forza metaforica, una capacità di visione, un’avventurosità, una sottile vicenda narrativa, (narrativo non vuol dire però prosastico…), una sua ricerca di verità e di senso, una sua nostalgia per un’armonia perduta e cercata.
Invece molti procedono oggi al contrario per azzeramento risultando afoni e minimalisti.
Bisogna avere prudenza quando si usi la parola realtà (e ci si ponga come scrittori della realtà…) perché non esiste solo quella neo-realisticamente intesa, (degradazione, miseria, cemento, fabbriche, prostituzione, quotidianità, supermarket ecc. ecc.): esiste anche una realtà di tipo interiore, una realtà dell’inconscio, una realtà del mito, che sprigiona energia reale, una realtà della mente o dei processi mentali, una realtà spirituale…E se io volessi scrivere una poesia su un fantasma o su un vampiro? O su una donna capra come il bellissimo racconto lungo di Tommaso Landolfi “La pietra lunare”… Se volessi scrivere una poesia su un miracolo? Sarebbe realtà? E che tipo di realtà se non fosse spiegabile?
Quella che molti, equivocando, chiamano realtà, si chiama storia o politica… Ma esiste una realtà che sta oltre il piano della storia e della politica? Al di là dell'immanenza, una verità metempirica, spirituale?
Caro Davide, fottitene del neovolgare o di certe rigide ipotesi critico-linguistiche…Rischi di fare l’epigono di quella zona meno attiva del D’Elia che fa l’epigono di Pasolini (quindi un epigono al quadrato)…Vai libero, scompiglia tutto, dai corpo ai sogni, al tuo onirismo, frequenta più poeti stranieri che sono liberi anche di riproporre il surrealismo…
E poi, volete capirlo, ragazzi, che gli unici scrittori autenticamente realisti sono quelli che fanno i conti con Cristo (cristiani e non…)?… è in quella direzione che io vorrei andare depurando il mio maledettismo romantico-simbolista-esoterico e, nello stesso tempo, il mio nitore greco e classico…La libertà nell’impatto con la realtà è messa in gioco totalmente solo di fronte a Cristo…Il vero realismo è quello che dice sì all’Incarnazione nella storia: Dante, in primis…Il resto è robetta…
Davide, naturalmente ho solo risposto a una tua idea di realismo che mi pare un po’ anni ’50…Sono d’accordo invece sulle tue considerazioni intorno alla necessità di una critica più libera proposte nella seconda parte del tuo scritto... Rispetto la tua idea e, come ti ho già detto, ti considero uno dei poeti giovani più interessanti e più vocati.
Tornando alla tua “protesta” per la limitazione di D’Elia nell’antologia (viene pure la rima…), non mi pare un gran problema…E poi le limitazioni, vere o presunte, dipendono anche dalle aspettative che si hanno…
Non sono nella schiera dei denigratori di D’Elia, come ho già avuto modo di dire…
Non so se ci sia una cospirazione, una congiura silenziosa contro di lui, mi piacerebbe approfondire la cosa.
Passando infine al discorso sull' antologia Parola plurale, dove comunque il poeta marchigiano è almeno presente sia pur ridotto come dici tu, mi pare che ci siano troppi pseudo-poeti della neo-avanguardia e troppi veri poeti assenti…
Ritengo che le antologie abbiano un’importanza relativa e modesta per quelli a cui interessi veramente scrivere cose molto buone…Ma esse fanno tendenza, nel senso che si vendono bene e, dunque, fanno opinione…
Ciascuno di noi può crearsi un’antologia immaginaria e poi farla interagire con le altre esistenti in commercio…Io le uso così, apprezzandole solo perché dialogano con la mia ideale…Tra le ultime uscite, mi piace, per alcuni “azzardi” critici, quella di Piccini un lavoro serio pur nella selettività estrema degli inclusi. Ma uso anche quella di Testa con una panoramica più ampia… Della nuova Parola Plurale, posso apprezzare il tentativo di un lavoro pensato “alla grande” (si è radunato un gruppo di specialisti in vari settori), idea ottima, e di aver incluso molte e disparate voci…Bella anche l’idea di scrivere un’introduzione generale, più alcuni saggi di chiarificazione tematica, sui momenti non sulle tendenze, e, infine, di aggiungere i vari cappelli di presentazione…Un lavoro di notevole serietà, nelle intenzioni: non per nulla durato 5 anni (in sede strettamente editoriale, consiglierei di studiare un prototipo di libri a fascicoletti con un contenitore unico, in modo tale da evitare il fastidioso maneggio di un volumone di 5 chili, a meno di non strappar le pagine…)…Ottimo anche il criterio di non scegliere i raggruppamenti per tendenza e di non considerare soltanto gli autori a diffusione nazionale…
Sull’esempio di Mengaldo, si usa un criterio cronologico, “acquisendo come indicatori non le date di nascita dei poeti bensì le loro prime pubblicazioni di rilievo”…A questo proposito, personalmente sarei più propenso a considerare le date di nascita dei poeti privilegiando quindi l’Autore che scrive i suoi testi…Mi pare che, le esagerazioni di certe teorie strutturaliste, abbia portato ad una scissione arrivando quasi a considerare i testi totalmente autonomi rispetto a quello che, in ambito romantico, veniva detto “mondo poetico” del soggetto che scrive.
Riconsideriamo certi critici come il Moeller di “Letteratura moderna e Cristianesimo” o altri più noti…
Se un Luzi pubblica un libro nel 1971 a 57 anni credo sia diverso da un Bellezza che esordisce nello stesso anno a 27…
Se penso a un poeta realista più giovane, non mi viene in mente D’Elia (del quale apprezzo più l’anima leopardiana o i bagliori di una linea Saba-Bertolucci–Penna degli inizi, che quella pasoliniana - di un Pasolini però più rigido sul fronte ideologico…) ma Rondoni.
Caro Davide Nota, per parlare di realtà non è detto che si debba necessariamente discettare di puttane, politica e televisione, o degli aspetti più sgradevoli (come fa Santi) in una lingua medio-bassa…Per quello ci sono già i giornali…Anzi, spesso quel furore espressionistico (da me molto praticato a vent’anni e “addomesticato” proprio da Rondoni) può portare paradossalmente ad un allontanamento dalla realtà e dalle cose ed essere invece un nuovo e ulteriore e più subdolo atteggiamento narcisistico…Ovviamente si può anche praticare questa via ma non considerarla come l’unica che porti al realismo.
Gibellini che scrive una bella poesia raccontando di un suo viaggio in treno o un poeta che scriva di una sua passeggiata, o uno che parli di una sua realtà privatissima e intima, ti paiono cose poco realistiche o neoermetiche o da parola innamorata?
Sandro Penna non è un poeta realista? Saba non è realista? Corazzini e Palazzeschi non sono realisti?
Intendo che, non vedo, se non come un falso problema, questa contrapposizione tra realismo e lirica. Che poi è l’annosa e ormai un po’ scolastica contrapposizione tra funzione Dante e funzione Petrarca…
Semmai conta di più come si esprima una particolare realtà, un mondo poetico…
Tu, Davide, parli, negativamente, di poeti neoermetici che io non scorgo a livello di libri usciti per editori importanti… Non credo che siano neoermetici né Pontiggia (che semmai guarda alla classicità greco-latina) né Conte (che guarda al mito e al Romanticismo)…Carifi e DeAngelis sono forse neoermetici? Non mi pare proprio…Forse sono più poeti tragici…
Trovami o dimmi il nome di un poeta neoermetico…
Anch’io ho parlato di spogliarelliste e di ragazze traviate in alcuni miei testi, guardando più a Baudelaire che a Pasolini o a D’Elia, e allora? Sono meno realista?
L’egemonia editoriale non è certo quella della lirica intimista, mi pare; i poeti più “pompati” sono o gli epigoni (o i cloni) dei maestri della linea lombarda o quelli dalla componente fortemente intellettualistica o sperimentale…
A me personalmente non interessa però chi prenda un bel campo semantico e lo faccia scontrare con un altro campo semantico provocando effetti di cortocircuito o di straniamanto: (operazioni che possono essere interessanti in grandi poeti come Zanzotto, meno in certi maldestri imitatori…)…
Resto ancora legato a una poesia - realistica o no - che conservi un suo ritmo, un suo canto, una sua forza metaforica, una capacità di visione, un’avventurosità, una sottile vicenda narrativa, (narrativo non vuol dire però prosastico…), una sua ricerca di verità e di senso, una sua nostalgia per un’armonia perduta e cercata.
Invece molti procedono oggi al contrario per azzeramento risultando afoni e minimalisti.
Bisogna avere prudenza quando si usi la parola realtà (e ci si ponga come scrittori della realtà…) perché non esiste solo quella neo-realisticamente intesa, (degradazione, miseria, cemento, fabbriche, prostituzione, quotidianità, supermarket ecc. ecc.): esiste anche una realtà di tipo interiore, una realtà dell’inconscio, una realtà del mito, che sprigiona energia reale, una realtà della mente o dei processi mentali, una realtà spirituale…E se io volessi scrivere una poesia su un fantasma o su un vampiro? O su una donna capra come il bellissimo racconto lungo di Tommaso Landolfi “La pietra lunare”… Se volessi scrivere una poesia su un miracolo? Sarebbe realtà? E che tipo di realtà se non fosse spiegabile?
Quella che molti, equivocando, chiamano realtà, si chiama storia o politica… Ma esiste una realtà che sta oltre il piano della storia e della politica? Al di là dell'immanenza, una verità metempirica, spirituale?
Caro Davide, fottitene del neovolgare o di certe rigide ipotesi critico-linguistiche…Rischi di fare l’epigono di quella zona meno attiva del D’Elia che fa l’epigono di Pasolini (quindi un epigono al quadrato)…Vai libero, scompiglia tutto, dai corpo ai sogni, al tuo onirismo, frequenta più poeti stranieri che sono liberi anche di riproporre il surrealismo…
E poi, volete capirlo, ragazzi, che gli unici scrittori autenticamente realisti sono quelli che fanno i conti con Cristo (cristiani e non…)?… è in quella direzione che io vorrei andare depurando il mio maledettismo romantico-simbolista-esoterico e, nello stesso tempo, il mio nitore greco e classico…La libertà nell’impatto con la realtà è messa in gioco totalmente solo di fronte a Cristo…Il vero realismo è quello che dice sì all’Incarnazione nella storia: Dante, in primis…Il resto è robetta…
Davide, naturalmente ho solo risposto a una tua idea di realismo che mi pare un po’ anni ’50…Sono d’accordo invece sulle tue considerazioni intorno alla necessità di una critica più libera proposte nella seconda parte del tuo scritto... Rispetto la tua idea e, come ti ho già detto, ti considero uno dei poeti giovani più interessanti e più vocati.
Tornando alla tua “protesta” per la limitazione di D’Elia nell’antologia (viene pure la rima…), non mi pare un gran problema…E poi le limitazioni, vere o presunte, dipendono anche dalle aspettative che si hanno…
Non sono nella schiera dei denigratori di D’Elia, come ho già avuto modo di dire…
Non so se ci sia una cospirazione, una congiura silenziosa contro di lui, mi piacerebbe approfondire la cosa.
Passando infine al discorso sull' antologia Parola plurale, dove comunque il poeta marchigiano è almeno presente sia pur ridotto come dici tu, mi pare che ci siano troppi pseudo-poeti della neo-avanguardia e troppi veri poeti assenti…
Ritengo che le antologie abbiano un’importanza relativa e modesta per quelli a cui interessi veramente scrivere cose molto buone…Ma esse fanno tendenza, nel senso che si vendono bene e, dunque, fanno opinione…
Ciascuno di noi può crearsi un’antologia immaginaria e poi farla interagire con le altre esistenti in commercio…Io le uso così, apprezzandole solo perché dialogano con la mia ideale…Tra le ultime uscite, mi piace, per alcuni “azzardi” critici, quella di Piccini un lavoro serio pur nella selettività estrema degli inclusi. Ma uso anche quella di Testa con una panoramica più ampia… Della nuova Parola Plurale, posso apprezzare il tentativo di un lavoro pensato “alla grande” (si è radunato un gruppo di specialisti in vari settori), idea ottima, e di aver incluso molte e disparate voci…Bella anche l’idea di scrivere un’introduzione generale, più alcuni saggi di chiarificazione tematica, sui momenti non sulle tendenze, e, infine, di aggiungere i vari cappelli di presentazione…Un lavoro di notevole serietà, nelle intenzioni: non per nulla durato 5 anni (in sede strettamente editoriale, consiglierei di studiare un prototipo di libri a fascicoletti con un contenitore unico, in modo tale da evitare il fastidioso maneggio di un volumone di 5 chili, a meno di non strappar le pagine…)…Ottimo anche il criterio di non scegliere i raggruppamenti per tendenza e di non considerare soltanto gli autori a diffusione nazionale…
Sull’esempio di Mengaldo, si usa un criterio cronologico, “acquisendo come indicatori non le date di nascita dei poeti bensì le loro prime pubblicazioni di rilievo”…A questo proposito, personalmente sarei più propenso a considerare le date di nascita dei poeti privilegiando quindi l’Autore che scrive i suoi testi…Mi pare che, le esagerazioni di certe teorie strutturaliste, abbia portato ad una scissione arrivando quasi a considerare i testi totalmente autonomi rispetto a quello che, in ambito romantico, veniva detto “mondo poetico” del soggetto che scrive.
Riconsideriamo certi critici come il Moeller di “Letteratura moderna e Cristianesimo” o altri più noti…
Se un Luzi pubblica un libro nel 1971 a 57 anni credo sia diverso da un Bellezza che esordisce nello stesso anno a 27…
Questa pretesa di serietà si scontra però con una evidente partigianeria: non posso non scorgere, infatti, la natura fortemente ideologica dell’operazione dove si escludono, con precisione scientifica, i poeti legati all’esperienza di clanDestino, in primis Davide Rondoni; escludere il poeta romagnolo, vuol dire farlo di proposito e senza troppi appigli (non c’è la scusa della poca visibilità né altro…): è solo una presa di posizione contro i poeti cattolici, con tutto il corredo o armamentario ideologico e il veleno in corpo del caso…
Mi pare grave, se si tiene conto invece dell’inclusione di certi poeti per me molto modesti come Ottonieri e non pochi altri…(Diverso il caso di alcuni, come per esempio Andrea Inglese che non considero un poeta modesto ma che non posso amare in quanto la mia poesia è opposta alla sua: lui è etico io sono estetico-delinquente, lui detesta gli effetti suggestivo-placebo e il sublime che io invece pratico, lui è un poeta raggelato io un fuoco passionale, lui un poeta nato morto io un vitalista, lui è un poeta analitico io un poeta sintetico e allucinato come da una pista di cocaina…Lui svuota e congela come in una foto color seppia l’esperienza, la intellettualizza, io la esalto in epica eroica del quotidiano, seguendone le misteriose vie, con stupore e passione.
Mi limito perché le antitesi sarebbero innumerevoli: insomma, divergenze estreme…
Mi pare grave, se si tiene conto invece dell’inclusione di certi poeti per me molto modesti come Ottonieri e non pochi altri…(Diverso il caso di alcuni, come per esempio Andrea Inglese che non considero un poeta modesto ma che non posso amare in quanto la mia poesia è opposta alla sua: lui è etico io sono estetico-delinquente, lui detesta gli effetti suggestivo-placebo e il sublime che io invece pratico, lui è un poeta raggelato io un fuoco passionale, lui un poeta nato morto io un vitalista, lui è un poeta analitico io un poeta sintetico e allucinato come da una pista di cocaina…Lui svuota e congela come in una foto color seppia l’esperienza, la intellettualizza, io la esalto in epica eroica del quotidiano, seguendone le misteriose vie, con stupore e passione.
Mi limito perché le antitesi sarebbero innumerevoli: insomma, divergenze estreme…
Consentitemi però di sottolineare il titolo di una sua raccolta: Prove di inconsistenza, appunto...
Tra i più giovani, avrei messo altri nomi (anche del gruppo di Atelier, dove c’è solo Santi cioè il poeta dove più forte agisce un’ opzione di tipo intellettualistico…e Sannelli che ha tutti gli ingredienti per piacere al tipo di critici “cortellessiani”).
Dei curatori, conosco meglio Cortellessa, critico molto intelligente e preparato, con il quale mi piacerebbe dialogare: benché da una specola quasi opposta alla sua… Ed è il bello dei confronti…
Quelli come Cortellessa sono i critici con cui il dialogo potrebbe essere autenticamente dialettico: dotato di molte frecce al suo arco, paga una formazione accademica romana che ha bruciato e occultato tante, troppe alternative culturali alla solita corrente che dal razionalismo cartesiano giunge a Marx per confluire in bacini ideologici troppo angusti…
Cortellessa è uno di quelli che considererebbero pregiudizialmente con ribrezzo anche una sola neutra virgola di qualche pensatore della tradizione come Evola…Uno di quelli che guardano con sinistro sospetto qualsiasi lontano parente dell’irrazionalismo (che sia il mito o l’esoterismo ecc. ecc.)
Egli ha inoltre due sindromi: quella della “carognetta”, e lo dico come un complimento, nel senso che la sua brillante intelligenza, troppo coartata dall’analisi, se vuole, può essere molto tagliente e cattiva e leninisticamente lanciata come un cane assassino contro i “nemici”…
L’altra è la sindrome che definisco da Azzeccagarbugli che ostenta il suo latinorum per “depistare”: con il rischio che il critico, talvolta, non centri il bersaglio e l’oggetto …Quanto più succosi, chiari e illuminanti, ad esempio, gli scritti critici di Raboni (o di Montale)…
Ho preso Cortellessa come capro espiatorio per contestare, non l’intelligenza e le capacità dei singoli collaboratori, ma la qualità del loro sapere, per contestarne la Weltanshauung…Vero che i punti di vista siano soggettivi così come il gusto dei singoli, ma tali sguardi hanno alle spalle comuni letture di formazione accademica (ed anche un comune sentire se si sono riuniti)…Non c’è per esempio una voce dissonante, qualche cattolico tradizionalista o addirittura qualcuno imbevuto di quella cultura di destra per 50 anni emarginata…La bandiera culturale dell’antologia raffigura il Logos ma esiste anche il Mythos come polarità tensiva e vitale.
Prendiamo poi alcune frasi emblematiche che mi hanno colpito: la frase citata di Luperini : - “la critica prefigura…una civiltà come ricerca interdialogica del senso, in cui la verità venga concepita non come un dato, bensì come un processo e una ininterrotta “costruzione” sociale”, ad esempio, dove sono chiari la fiducia nel progresso della storia e nella bonta degli uomini (Rousseau)…Se la verità non è un dato ma è una ininterrotta costruzione sociale, non è una verità ma una moda che cambia con il tempo, dunque non è una verità dell’essere…Significa che ogni tempo avrebbe la sua verità? Significa che oggi non potremmo leggere Dante, Orazio o Catullo perché appartenenti a verità costruite socialmente in tempi lontanissimi? Questa frase porta direttamente a un’altra che descrive bene la situazione del nostro tempo ma non riflette abbastanza su come ciò sia proprio l’esito della frase precedente: -“Per questo si può dire che quello della poesia non sia più un linguaggio ma, al limite, una personalissima parole, diversa per ciascun operatore e, infatti, effettualmente incomunicabile. Illeggibile.”…Certo, se la verità non è un dato incorriamo nell’effetto “tot capita tot sentantiae”, mi pare evidente…
Ma ecco un’altra frase messa in epigrafe nel saggio di Alessandro Baldacci, frase di uno dei poeti antologizzati, quel Vito Bonito che tante volte ho incrociato all’Università di Bologna, dice: “La poesia accade nell’irrespirabile, è l’irrespirabile”.
Non nego la suggestione tragica dell’assunto che probabilmente descrive, con richiami evidenti a Celan, una condizione vera del manifestarsi della poesia…Ma è portatrice anche di un messaggio nichilista e di morte…
Certo la poesia può nascere così: però alle spalle c’è, un attimo prima, l’esigenza di respirare e la vitalità di quel respiro…
La poesia che io scrivo e leggo è quella che aumenta quella mia esigenza del respiro…
Nell’antologia, più che Gianni D’Elia, mi pare si colpisca duro Giuseppe Conte (proprio a firma di Cortellessa): il cappello di introduzione critica, ad esempio, pare una caricatura, una parodia alla Noschese o alla Max Tortora…La sottilie perfidia di includere i testi antichi del Conte neoavanguardista, per costruirci tutto un discorso addosso, mi pare francamente limitante; oltre che una premeditata “carognata”…Non si può parlare serenamente di Conte se si abbia in uggia il mito e l’energia vitalistico-metamorfica che da esso deriva…Calvino e Raboni, non troppo distanti ideologicamente da Cortellessa, furono assai più generosi con il poeta ligure…
Pare di moda, dopo l’esaltazione degli anni ottanta, oggi e soprattutto tra i più giovani “cervelloni”, scagliarsi contro Giuseppe Conte e limitarne l’importanza: purtroppo si ignora (perché di vera ignoranza si tratta) l’energia vitalistica di quel pensiero mitico-esoterico di cui parlavo più sopra…Anche Giuseppe Genna nel suo sito ha criticato in tal senso Cortellessa riguardo all'ultimo libro di De Angelis…
Il gesto di Conte, pur debitore di certe premesse giovanili neoavanguardistiche, è uno dei gesti più rivoluzionari, importanti e inattuali della poesia italiana… Quella di una poetica del mythos così vitale di contro a certa cultura mortifera, nichilista o onanistico-francese che ha rallentato i battiti del cuore in letteratura…
Il limite di Conte, semmai, è quello dove le intenzioni non si sposino perfettamente con l’ispirazione poetica del momento…Come in tutti i poeti, del resto…Non sopporto l’attacco ideologico alla poetica di Conte per screditare i singoli risultati nei testi…
E poi se Cortellessa sente come noiosa l’Elegia scritta nei giardini di Villa Hanbury è perché lui osserva poco il cielo e gli alberi e pensa troppo…
Comunque, anche Rondoni escluse molte personalità care a Cortellessa nella sua antologia garzantiana, quindi sono pari… Sembrano un po’ vendette tra clan…
Resta il fatto che Rondoni è un ottimo poeta e che Cortellessa pare un critico intelligente e preparato ma un po’ gravato dal suo vizietto ideologico “marxianeggiante”, non so quanto ortodosso, che gli impedisce di affinare oltremodo lo sguardo…
Non mi faccio condizionare troppo dalle crestomazie: altrimenti dovrei pensare che un poeta come Piero Bigongiari, escluso da quasi tutte le principali, non sia mai esistito…
Come si fa a mettere i bravi Carifi, DeAngelis, Ceni o Mussapi, in certe antologie e ad escludere poi quello che è stato il loro maestro?
Mi incazzo quando codesti, nati come supporti di servizio, diventino strumenti di potere, benché un potere molto relativo rispetto al vero potere politico o economico che imbriglia e condiziona la cultura…Quando diventano strumenti di servizio non per la poesia ma per altro (esercizio di un potere accademico o di parte o venalità mercantili ecc. ecc.…)…Intendetemi: non credo sia un male compilare una cosiddetta antologia “aziendale” o accademica, credo sia male, invece, farlo con criteri di scelta e selezione esclusivamente aziendali o accademici…
Fortunatamente ci sono molte ore d’aria e molti individui liberi…
Però i futuri storici della poesia, nel 2050, si troveranno di fronte forse a pochi poeti di spicco e a molte, troppe antologie…
E diranno: “e che cazzo di storia è questa?”
Andrea Margiotta
Tra i più giovani, avrei messo altri nomi (anche del gruppo di Atelier, dove c’è solo Santi cioè il poeta dove più forte agisce un’ opzione di tipo intellettualistico…e Sannelli che ha tutti gli ingredienti per piacere al tipo di critici “cortellessiani”).
Dei curatori, conosco meglio Cortellessa, critico molto intelligente e preparato, con il quale mi piacerebbe dialogare: benché da una specola quasi opposta alla sua… Ed è il bello dei confronti…
Quelli come Cortellessa sono i critici con cui il dialogo potrebbe essere autenticamente dialettico: dotato di molte frecce al suo arco, paga una formazione accademica romana che ha bruciato e occultato tante, troppe alternative culturali alla solita corrente che dal razionalismo cartesiano giunge a Marx per confluire in bacini ideologici troppo angusti…
Cortellessa è uno di quelli che considererebbero pregiudizialmente con ribrezzo anche una sola neutra virgola di qualche pensatore della tradizione come Evola…Uno di quelli che guardano con sinistro sospetto qualsiasi lontano parente dell’irrazionalismo (che sia il mito o l’esoterismo ecc. ecc.)
Egli ha inoltre due sindromi: quella della “carognetta”, e lo dico come un complimento, nel senso che la sua brillante intelligenza, troppo coartata dall’analisi, se vuole, può essere molto tagliente e cattiva e leninisticamente lanciata come un cane assassino contro i “nemici”…
L’altra è la sindrome che definisco da Azzeccagarbugli che ostenta il suo latinorum per “depistare”: con il rischio che il critico, talvolta, non centri il bersaglio e l’oggetto …Quanto più succosi, chiari e illuminanti, ad esempio, gli scritti critici di Raboni (o di Montale)…
Ho preso Cortellessa come capro espiatorio per contestare, non l’intelligenza e le capacità dei singoli collaboratori, ma la qualità del loro sapere, per contestarne la Weltanshauung…Vero che i punti di vista siano soggettivi così come il gusto dei singoli, ma tali sguardi hanno alle spalle comuni letture di formazione accademica (ed anche un comune sentire se si sono riuniti)…Non c’è per esempio una voce dissonante, qualche cattolico tradizionalista o addirittura qualcuno imbevuto di quella cultura di destra per 50 anni emarginata…La bandiera culturale dell’antologia raffigura il Logos ma esiste anche il Mythos come polarità tensiva e vitale.
Prendiamo poi alcune frasi emblematiche che mi hanno colpito: la frase citata di Luperini : - “la critica prefigura…una civiltà come ricerca interdialogica del senso, in cui la verità venga concepita non come un dato, bensì come un processo e una ininterrotta “costruzione” sociale”, ad esempio, dove sono chiari la fiducia nel progresso della storia e nella bonta degli uomini (Rousseau)…Se la verità non è un dato ma è una ininterrotta costruzione sociale, non è una verità ma una moda che cambia con il tempo, dunque non è una verità dell’essere…Significa che ogni tempo avrebbe la sua verità? Significa che oggi non potremmo leggere Dante, Orazio o Catullo perché appartenenti a verità costruite socialmente in tempi lontanissimi? Questa frase porta direttamente a un’altra che descrive bene la situazione del nostro tempo ma non riflette abbastanza su come ciò sia proprio l’esito della frase precedente: -“Per questo si può dire che quello della poesia non sia più un linguaggio ma, al limite, una personalissima parole, diversa per ciascun operatore e, infatti, effettualmente incomunicabile. Illeggibile.”…Certo, se la verità non è un dato incorriamo nell’effetto “tot capita tot sentantiae”, mi pare evidente…
Ma ecco un’altra frase messa in epigrafe nel saggio di Alessandro Baldacci, frase di uno dei poeti antologizzati, quel Vito Bonito che tante volte ho incrociato all’Università di Bologna, dice: “La poesia accade nell’irrespirabile, è l’irrespirabile”.
Non nego la suggestione tragica dell’assunto che probabilmente descrive, con richiami evidenti a Celan, una condizione vera del manifestarsi della poesia…Ma è portatrice anche di un messaggio nichilista e di morte…
Certo la poesia può nascere così: però alle spalle c’è, un attimo prima, l’esigenza di respirare e la vitalità di quel respiro…
La poesia che io scrivo e leggo è quella che aumenta quella mia esigenza del respiro…
Nell’antologia, più che Gianni D’Elia, mi pare si colpisca duro Giuseppe Conte (proprio a firma di Cortellessa): il cappello di introduzione critica, ad esempio, pare una caricatura, una parodia alla Noschese o alla Max Tortora…La sottilie perfidia di includere i testi antichi del Conte neoavanguardista, per costruirci tutto un discorso addosso, mi pare francamente limitante; oltre che una premeditata “carognata”…Non si può parlare serenamente di Conte se si abbia in uggia il mito e l’energia vitalistico-metamorfica che da esso deriva…Calvino e Raboni, non troppo distanti ideologicamente da Cortellessa, furono assai più generosi con il poeta ligure…
Pare di moda, dopo l’esaltazione degli anni ottanta, oggi e soprattutto tra i più giovani “cervelloni”, scagliarsi contro Giuseppe Conte e limitarne l’importanza: purtroppo si ignora (perché di vera ignoranza si tratta) l’energia vitalistica di quel pensiero mitico-esoterico di cui parlavo più sopra…Anche Giuseppe Genna nel suo sito ha criticato in tal senso Cortellessa riguardo all'ultimo libro di De Angelis…
Il gesto di Conte, pur debitore di certe premesse giovanili neoavanguardistiche, è uno dei gesti più rivoluzionari, importanti e inattuali della poesia italiana… Quella di una poetica del mythos così vitale di contro a certa cultura mortifera, nichilista o onanistico-francese che ha rallentato i battiti del cuore in letteratura…
Il limite di Conte, semmai, è quello dove le intenzioni non si sposino perfettamente con l’ispirazione poetica del momento…Come in tutti i poeti, del resto…Non sopporto l’attacco ideologico alla poetica di Conte per screditare i singoli risultati nei testi…
E poi se Cortellessa sente come noiosa l’Elegia scritta nei giardini di Villa Hanbury è perché lui osserva poco il cielo e gli alberi e pensa troppo…
Comunque, anche Rondoni escluse molte personalità care a Cortellessa nella sua antologia garzantiana, quindi sono pari… Sembrano un po’ vendette tra clan…
Resta il fatto che Rondoni è un ottimo poeta e che Cortellessa pare un critico intelligente e preparato ma un po’ gravato dal suo vizietto ideologico “marxianeggiante”, non so quanto ortodosso, che gli impedisce di affinare oltremodo lo sguardo…
Non mi faccio condizionare troppo dalle crestomazie: altrimenti dovrei pensare che un poeta come Piero Bigongiari, escluso da quasi tutte le principali, non sia mai esistito…
Come si fa a mettere i bravi Carifi, DeAngelis, Ceni o Mussapi, in certe antologie e ad escludere poi quello che è stato il loro maestro?
Mi incazzo quando codesti, nati come supporti di servizio, diventino strumenti di potere, benché un potere molto relativo rispetto al vero potere politico o economico che imbriglia e condiziona la cultura…Quando diventano strumenti di servizio non per la poesia ma per altro (esercizio di un potere accademico o di parte o venalità mercantili ecc. ecc.…)…Intendetemi: non credo sia un male compilare una cosiddetta antologia “aziendale” o accademica, credo sia male, invece, farlo con criteri di scelta e selezione esclusivamente aziendali o accademici…
Fortunatamente ci sono molte ore d’aria e molti individui liberi…
Però i futuri storici della poesia, nel 2050, si troveranno di fronte forse a pochi poeti di spicco e a molte, troppe antologie…
E diranno: “e che cazzo di storia è questa?”
Andrea Margiotta
Caro Davide,
RispondiEliminati ringrazio molto del tuo commento...
Filippo, io e te abbiamo uno sguardo sulle cose molto simile, mi pare...Benché tu sia più signorile, (io non lo so, forse...)
RispondiEliminagrazie...
Il pezzo è molto lungo, magari potevi pubblicarlo a puntate... E' la risposta di Davide ad avermi colpito. Soprattutto quella mancanza di radici, l'immagine di un suolo desertico, che si sfalda, e le allucinazioni che porta. Questo senso di morte così violento, che puoi solo ascoltarlo.
RispondiEliminaGabriel
Una cosa ad Andrea.
RispondiEliminaQuando parli di altri poeti, dici cose interessanti, anche a davide hai dato, credo, degli spunti di riflessione importanti. Invece quando ti soffermi a parlare di te, della tua poetica, della sua presunta originalità ecc., ecco non ti sembra di correre il rischio di parlarti addosso? Però puoi fare quello che vuoi, è il tuo blog. Senza animosità,
Gabriel
Caro Gabriel (del sarto?)
RispondiEliminami interessava dire un po' di cose ed anche rispondere a Davide Nota che mi aveva mandato delle email.
Sì, è un pezzo lungo, ma stranamente ben congegnato da un punto di vista logico e nel rapporto causa-effetto.
Davide, come vedi, mi ha risposto ed è suggestivo quello che scrive.
Non credo ci sia nulla di male a riflettere anche sulla propria poesia; si chiama poetica ed ha sempre accompagnato il fare poesia. Un grande poeta come Saba scrisse le note e la storia e cronistoria del Canzoniere perché era parecchio insoddisfatto dei critici che non lo capivano...Non mi sembra di parlarmi addosso, mi sembra di parlare a chi voglia ascoltare...