Su Nerone e il grande incendio di Roma, nel 64 d.C., sul cristianesimo ecc. Una mia risposta a un parà (di destra?) lettore, come me, di Nietzsche...

 

 



 


 

Vedi, Tacito manteneva aperta pure l'ipotesi dell'incendio non doloso, benché alludesse alla colpevolezza di Nerone; il quale, non si sa se stesse declamando i versi della caduta di Troia, da una torre vicina al suo giardino, mentre Roma bruciava (come sosteneva Svetonio) o se si trovasse ad Anzio. Nel secondo caso, appare strano che fosse tornato a Roma solo nel 4 giorno dell'incendio, quando il fuoco si era avvicinato alla sua residenza (che poi fu distrutta); si adoperò assai per aiutare i senzatetto, aprendo il Campo Marzio e altri luoghi ma Tacito scrive: «Misure che, benché dirette al popolo, non gli giovarono, poiché s'era sparsa la voce che nel momento stesso in cui la città bruciava egli fosse salito sul palcoscenico del palazzo e si fosse messo a cantare la caduta di Troia, assimilando le sciagure presenti agli antichissimi lutti.» (Annales XV, 39. 3). E Tacito scrive ancora: «Nessuno poi osava combattere il fuoco, per le ripetute minacce di molti che proibivano di spegnerlo e perché vi erano altri che apertamente lanciavano fiaccole e gridavano d'aver ricevuto ordine di farlo, sia per rubare più facilmente sia effettivamente per aver ricevuto ordini in tal senso». (Annales XV, 38. 7). Per Nerone, la distruzione della sua residenza non fu un grande problema visto che si fece costruire l'imponente e maestosa Domus Aurea, che gli costò una fortuna (non solo di tasca sua). Ma i sospetti su di lui non cessavano e così trovò il capro espiatorio: i cristiani (all'epoca, abbastanza invisi e odiati) e cominciò la sua sanguinosa e crudele persecuzione; secondo la Tradizione e un certo numero di storici antichi, morirono anche San Pietro e San Paolo. Direi di chiudere con questa nostra digressione, dove mi hai voluto portare (eri un "guastatore"?). Giorgio Colli diceva che Nietzsche va preso di petto e severamente, come ci ha insegnato lui.
Seconda questione.     
Guarda che, nelle statistiche dedicate, il gruppone degli atei, agnostici, indifferenti o «laici» indipendenti, è ormai, per numero, la terza «religione del mondo» (supera di poco l'induismo).
Dunque, quel che dici in negativo sulla maggioranza dei cristiani, può valere anche per questi.
Secondo me, gli specialisti in statistiche fanno bene a considerarli una vera e propria religione: non solo perché taluni si accorpano anche in gruppi, con legami internazionali ma anche perché professano una vera e propria religione: quella di non averne nessuna e, nei più incazzati, di odiare visceralmente tutte le altre, specie quelle maggiori per numero (cristianesimo ed islamismo). E di spendersi per una sorta di rieducazione o "evangelizzazione" degli altri, cosa che li fa sembrare scimmie degli evangelizzatori o missionari religiosi; un po' come il negativo e il positivo, nello sviluppo fotografico.   
Ma è impossibile che un ateo, nella vita pratica, non creda a nulla: infatti crede un po' a tutto: la professione, la carriera, gli amici, i figli, il successo, i soldi, il sesso, la scienza, la dieta vegana, l'eroismo militare, il paracadute, Nietzsche ecc. L'ateo (ma anche l'agnostico) è una specie di pagano politeista: i suoi dèi sono i suoi idoli (nel senso biblico).   
Un altro errore è quello di considerare le religioni come sovrastrutture imposte e non come risposte (diverse, nel tempo e nello spazio) a una sorta di "traccia" che hanno tutti gli uomini, di ogni luogo e tempo: cioè il senso religioso; che è quel livello originale della natura umana portato a farsi domande sul senso ultimo, sul destino ecc.
Per gli astiosi contro le religioni, queste sono portatrici di tutti i mali, comprese le guerre.
Ma le religioni non sono nate perché un gruppetto di esaltati le abbia imposte a tutti gli altri: il cristianesimo, per esempio, nasce da Cristo e da uomini toccati dalla Grazia di un incontro; poi si è diffuso (ma le conversioni erano libere) fino a diventare, con l'editto di Costantino, una religione tollerata e, ancora, la religione ufficiale dell'Impero romano, cioè dell'Occidente.  
C'è una differenza tra l'origine di una religione e la sua istituzionalizzazione che spesso porta a una cristallizzazione del Potere. (E alla violenza e all'imposizione).
Ti citerei un bel passo de «L'idiota» di Dostoevskij ma dovrei ricopiarlo dalla edizione Einaudi in mio possesso ed è un po' lungo; dunque cito dal sito creato da Fusaro, Filosofico. net: «Dostoevskij mette in bocca al principe Mishkin questa teoria: il cattolicesimo ha ceduto alla tentazione dell’Anticristo scegliendo il potere (a fin di bene). Per reazione l’Occidente ha scelto l’ateismo. Anche il socialismo viene dal cattolicesimo. All’ateismo occidentale bisogna contrapporre il Cristo russo. Benché questa posizione sia esposta in modo paradossale, è noto che Dostoevskij sostanzialmente la condivideva».
Questa la sintesi. Il punto che mi interessa, per quello che voglio dire, è invece in questo passaggio, mentre il principe continua il suo dialogo: «Anche esso [il socialismo] come il fratello, l’ateismo, deriva dalla disperazione come antitesi del cattolicesimo, nel senso morale, per sostituire lo scomparso potere morale della religione, per saziare la sete spirituale dell’umanità rinascente e per salvarla, non piú con Cristo, ma con la violenza. È anch’essa una libertà raggiunta con la violenza, è anch’esso un’unione ottenuta per mezzo della spada e del sangue! ‘Tu non osi credere in Dio, non osi possedere, non osi avere la tua propria personalità; fraternité ou la mort, due milioni di teste decapitate!’ È detto: ‘Li riconoscerete dai loro atti’. E non dovete pensare che tutto ciò sia anodino e poco minaccioso per noi: oh, noi dobbiamo opporvi resistenza e senza indugiare, al piú presto! Bisogna, per resistere all’Occidente, che il nostro Cristo risplenda, il Cristo che noi abbiamo conservato e ch’essi non conoscono! Non dobbiamo servilmente lasciarci pigliare all’amo dai gesuiti, dobbiamo invece comparire dinanzi a loro, portando loro la nostra civiltà russa, e non dicano i nostri che la loro predicazione è elegante, come, non ricordo piú chi, ebbe a dire un momento fa...”
(F. M. Dostoevskij, «L’idiota», Garzanti, Milano, 1978, vol. II, p. 689).
Sappiamo in tanti come Dostoevskij abbia ispirato anche Nietzsche, che ammirava i suoi romanzi, in particolare «L'idiota» (o «I demoni»).
Allora, il problema risiede nelle religioni o nella natura degli uomini? E quanto conta, nella natura umana, la volontà di potenza, di cui parlava Nietzsche? E quanto conta, proprio il processo del divenire delle cose, le trasformazioni che implicano pure strappi, in certi casi anche violenti? (nel mio discorso, il divenire del cristianesimo, nella Storia).
Similmente, si potrebbe dire di certe ideologie totalitarie (penso al comunismo o al nazionalsocialismo) vissute come vere e proprie religioni che implicavano una fede.
Solo che, in questi due casi, il difetto stava proprio nel manico... cioè nell'ideologia stessa, intrinsecamente.
Su Nerone, ti lascio alle tue rivalutazioni moderne; ma su quali fonti, visto che quelle principali, antiche, Tacito, Svetonio ecc. erano tutte contro di lui? Gli storici moderni, di cui parli, non avranno mica consultato cronachisti contemporanei all'imperatore? No, perché io non mi fiderei di un cronachista che sarebbe andato a morte sicura, se avesse scritto della colpevolezza di Nerone. O forse si tratta di libere e fantasiose interpretazioni o congetture di pochi storici moderni pregiudizialmente anticristiani? Però - nonostante gli sforzi che Nerone fece, per aiutare i senzatetto, aprendo il Campo Marzio e altri luoghi - le voci che lui fosse il mandante dell'incendio non si placavano; per questo fu costretto a trovare altri capri espiatori: e chi meglio dei cristiani? Al tempo, odiati e considerati una setta intenta a celebrare strani riti magici, gente superstiziosa e pericolosa... e, addirittura, adoratori di una testa d'asino... 
      
 

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